giovedì 5 aprile 2012

Le misure del governo Monti? Anche secondo il Wall Street Journal: una minaccia per l'economia italiana.

Riprendiamo un interessante articolo dal Wall Street Journal che qualche giorno fa titolava: "L’austerity Italiana costituisce una minaccia per l’economia", quindi dopo il Financial Times, anche il Wall Street Journal lancia l'allarme sugli effetti recessivi e controproducenti delle politiche di austerità attuate in Italia.

Le misure di austerità intraprese stanno risultando controproducenti.


I recenti dati economici e di bilancio mostrano che le misure di austerità dell’Italia stanno frenando l’attività nella terza più grande economia della zona euro, e indicano che le misure intraprese stanno risultando controproducenti. Lunedì il Tesoro italiano ha dichiarato che il fabbisogno del settore statale – un indicatore del deficit di bilancio – è sceso del 10% nel primo trimestre del 2012 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le cifre indicano che il recente aumento delle tasse sta aiutando l’Italia a tagliare il suo deficit fiscale, ma anche che sta spingendo l’attività economica verso una contrazione ancora più veloce.

Secondo una stima dalla lobby d’affari Confindustria, il Prodotto interno lordo in Italia si è contratto dell’1% nel primo trimestre rispetto agli ultimi tre mesi del 2011, . Il Ministro dell’Industria Corrado Passera martedì a Roma ha dichiarato: “Con l’austerità, non si cresce“.

In tutta Europa sono attuati dei pacchetti di austerità che riducono la crescita, mettendo alla prova l’approccio del continente sulla gestione della crisi del debito sovrano. Lo scenario – che si sta svolgendo ora in Italia, Grecia e Spagna – potrebbe lasciare  i paesi della zona euro in difficoltà con rapporti di debito pubblico/Pil ancora più elevati, nonostante i penosi sforzi per ridurli. Questo, a sua volta, renderebbe l’unione monetaria nel suo insieme vulnerabile verso ulteriori tensioni politiche e di mercato.

Aumenti delle imposte insostenibili.

L’inasprimento fiscale in Italia, iniziato nel 2010, è stato progettato per mettere in atto aumenti della pressione fiscale e tagli alla spesa pubblica pari al 7% del PIL entro il 2013. La maggior parte delle misure sono aumenti delle imposte – sul reddito dei lavoratori, ma anche sui consumi e sui beni di proprietà – i quali secondo molti economisti hanno un effetto più recessivo rispetto ai tagli di spesa pubblica. Un calo dell’1% del PIL in Italia sarebbe pari a un calo di produzione da € 16 miliardi, di gran lunga maggiore del miglioramento delle cifre di bilancio.

Quello che è successo in Grecia potrebbe accadere anche in Italia“, ha detto Salvatore Cantale, professore di finanza presso la Business School IMD di Losanna, in Svizzera, riferendosi ai draconiani aggiustamenti di bilancio che stanno spremendo il PIL e che conducono al mancato raggiungimento degli obiettivi dei rapporti di debito e di deficit. I rendimenti sui titoli di Stato Italiani sono saliti, mentre quelli sui bund tedeschi no, segnalando la preoccupazione degli investitori proprio all’inizio del trimestre in cui Roma deve emettere più titoli del debito sovrano di ogni altra capitale della zona euro.

Altro motivo di preoccupazione nei mercati, i prezzi correnti dei titoli triennali del Tesoro Italiani indicano che le banche locali che hanno usato le operazioni di rifinanziamento a lungo termine della Banca Centrale Europea per acquistare debito interno, ora stanno accumulando delle perdite. Il LTRO è un’offerta di liquidità a buon mercato per tre anni, salutata come una soluzione per la crisi del debito dell’eurozona.

Calo dei consumi e migliaia di aziende costrette alla chiusura

Silvio Berlusconi, l’ex primo ministro Italiano che si è dimesso a novembre, ha detto martedì che l’aumento previsto di due punti percentuali dell’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto in autunno  “stroncherà i consumi“. Ha aggiunto che molti imprenditori stanno prendendo in considerazione il trasferimento della produzione all’estero. “La cura che l’Unione europea ha prescritto per il nostro paese è la stessa che ha già causato un disastro in Grecia e sta cominciando a farlo anche in Spagna,” ha detto Mr. Berlusconi a degli alti funzionari del suo Popolo delle Libertà in un incontro a Roma. Tuttavia, ha detto di non vedere alternative al sostegno del governo tecnico del Primo Ministro Mario Monti fino alle elezioni generali nella primavera del 2013.

“Una pressione tributaria eccessiva può mettere in pericolo il diritto ad esistere di molte aziende Italiane“, ha detto Mr. Cantale di IMD. Egli ha dichiarato che il signor Monti dovrebbero dire agli Italiani “qual’è il suo piano nel caso che la contrazione risultasse essere più forte o più lunga del previsto.” Le preoccupazioni per le perdite permanenti per l’economia in Italia sono stati sottolineate questa settimana da Unrae, l’associazione dei concessionari auto stranieri, secondo cui le vendite di auto in Italia sono scese del 21% nel primo trimestre, la stagione migliore per gli acquisti, e che le unità vendute a marzo sono crollate al livello minimo da 32 anni. “I consumatori si trovano davanti ad ostacoli insormontabili, con aliquote fiscali sul reddito più elevate da marzo, maggiori imposte sulla proprietà a giugno, e un aumento dell’IVA nel mese di settembre“, ha detto il presidente Unrae Jacques Bousquet.

L’imposta sugli immobili di Mr. Monti è il risultato di uno sforzo importante del suo governo per evitare di scaricare gli aumenti sulle attività produttive, sul lavoro e sugli affari. Ma le autorità locali devono ancora annunciare le attuali aliquote d’imposta che saranno dovute dai residenti, e il prelievo sarà probabilmente raccolto in due fasi, per cercar di diluire lo shock.


Articolo originale: Italy Austerity Poses Threat to Economy

domenica 1 aprile 2012

Monti abolisce la domenica. Un'altra svolta di (in)civiltà.

Riprendiamo un articolo di Antonio Socci da Libero del 4 marzo 2012 dal titolo:

Monti abolisce la domenica 

Monte Mario è una collinetta che sovrasta il Vaticano. Non vorrei che Monti Mario pretendesse di sovrastare Dio stesso, spazzando via, con un codicillo, quattromila anni di civiltà giudaico-cristiana (e pure islamica) imperniata sul giorno del Signore, “Dies Dominicus”.  Comandamento divino, nel Decalogo di Mosè, che è diventato il ritmo della civiltà anche laica, dappertutto. Perfino in Cina.
Il codicillo del governo che “abolisce” Dio (o meglio abolisce il diritto di Dio che è stato il primo embrione dei diritti dell’uomo, come vedremo) è l’articolo 31 del “decreto salva Italia”.  Dove praticamente si decide che dovunque si possono aprire tutti gli esercizi commerciali 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno. Norma che finirà per allargarsi anche all’industria nella quale già è presente questa spinta. Dunque produrre, vendere e comprare a ciclo continuo. Senza più distinzione fra giorni feriali e festivi (Natale compreso), fra giorno e notte, fra mattina e sera.

Sembra una banale norma amministrativa, invece è una svolta di (in)civiltà perché abolendo la festa comune - e i momenti comuni della giornata - distrugge non solo il fondamento della comunità religiosa, ma l’esperienza stessa della comunità, qualunque comunità, dalla famiglia a quella amicale e ricreativa dello stadio.
Distrugge la sincronia sociale dei tempi comuni e quindi l’appartenenza a un gruppo, a un popolo. Per questo c’è l’opposizione indignata della Chiesa e dei sindacati (pure di associazioni di commercianti).  La cosa infatti non riguarda solo chi – per motivi religiosi – vede praticamente abolita la domenica, il giorno del Signore (per i cristiani è memoria della Resurrezione di Cristo e simbolo dell’Eterno in cui sfocerà il tempo).
Riguarda tutti, ci riguarda come famiglie, come comunità locali o particolari. Infatti è vero che ci sono lavori di necessità sociale che sempre sono stati fatti anche la domenica (pure il commercio in località turistiche e in tempi di vacanza). Ma è proprio l’eccezione che conferma la regola.  La regola di un giorno di festa comune, non individuale, ma comune (sia per la liturgia religiosa che per le liturgie laiche), è infatti ciò che ci permette di riconoscerci.
Ciò che consente di stare insieme ai figli,  di vedere gli amici (allo stadio, al mare, in campagna, in bici, a caccia), di ritrovarsi con i parenti, di dar vita ai tanti momenti comuni o associativi. Se ai ritmi individuali già forsennati della vita si toglie anche l’unico momento comune della festa settimanale (o, per esempio, del “dopocena”),  le famiglie ne escono  veramente a pezzi. Tutti diventano conviventi notturni casuali come i clienti di un albergo.   si dissolvono i “corpi intermedi”, i gruppi e le associazioni in cui l’individuo si realizza.
Il giorno di festa comune ci ricorda infatti  che non siamo solo individui, ma persone con relazioni e rapporti affettivi. Non siamo solo produttori/consumatori, ma siamo padri, madri, figli, fidanzati, siamo amici, siamo appassionati di questo o di quello, apparteniamo a gruppi, comunità, a un popolo.

Il “giorno del Signore” nasce quattromila anni fa per affermare che tutto appartiene a Dio. Ed è significativo che il comandamento del riposo  che fu dato da Dio nella Sacra Scrittura riguardasse – in quell’antichissima civiltà - anche servi, schiavi e animali: era il primo embrione in forma di legge di una liberazione, di un riconoscimento della dignità di tutti, che poi si sarebbe affermato col cristianesimo.
Proclamare il diritto di Dio come diritto al riposo per tutti (e addirittura riposo comune) significava cominciare a far capire che niente e nessuno può arrogarsi un potere assoluto sulle creature. Perché tutti hanno una dignità e perfino gli animali vanno rispettati. Come pure la terra (i ritmi della terra) che non può essere sfruttata senza riguardo.
Non a caso, proprio sul ritmo settenario della settimana, Dio, nella Sacra Scrittura, comanda al suo popolo quegli anni “sabbatici”, che corrispondevano al “giorno del Signore”, per cui ogni sette, c’era un anno in cui si liberavano gli schiavi, si condonavano i debiti e si faceva riposare la terra.

Questo è il retroterra storico della “Giornata europea per le domeniche libere dal lavoro” che è stata indetta il 4 marzo, in dodici paesi europei. E’ promossa dalla “European Sunday alliance” a cui aderiscono 80 organizzazioni, non solo chiese e comunità religiose (in qualche paese pure ebraica e musulmana), ma anche – e soprattutto - sindacati dei lavoratori e associazioni dei commercianti. Un’inedita coalizione impegnata in una battaglia anche laica.
Battaglia di civiltà come fu quella per la giornata otto ore all’albore del movimento sindacale: infatti si cita come esemplare il caso delle lavoratrici rumene di una catena di supermercati tedeschi che a Natale e Capodanno scorsi si sono ribellate al lavoro festivo e hanno vinto. Fra l’altro la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato anticostituzionale l’apertura festiva perché lede la libertà religiosa e il diritto al riposo: la vita dell’uomo non è solo comprare e vendere.
Perché non siamo schiavi. La situazione italiana si annuncia come la più dura. Infatti “in nessun Paese europeo esiste che i negozi stanno aperti 24 ore al giorno  e sette giorni su sette”, dichiara ad “Avvenire” il sindacalista della Cisl Raineri. Oltretutto con una decisione piombata dall’alto. Cgil, Cisl e Uil stamattina distribuiscono un volantino dove si legge: “Oggi non fare shopping! La domenica non ha prezzo”.
I sindacati dicono che sarebbero soprattutto le donne a pagare il prezzo più duro perché sono quasi il 70 per cento del personale nel commercio e sono quelle che già  oggi soffrono di più la difficile armonizzazione dei “tempi di lavoro” con la famiglia.

E’ anche provato, dagli esperimenti fatti finora, che questa devastante trovata non avrebbe alcun beneficio né sull’occupazione, né sui consumi, infatti la gente non compra perché è tartassata dallo stato e dalla recessione, non perché il supermercato è chiuso alla domenica.  Infatti la Regione Lombardia ha già annunciato  ricorso alla Corte Costituzionale contro la norma “ammazza domeniche”. E la seguono a ruota Toscana e Veneto.
Il mondo cattolico giudica inaccettabile quella norma ed è in subbuglio.  Ora agli italiani, oltre ai soldi, pretendono di sottrarre pure Dio e la domenica. La Chiesa si sente “derubata” di una cosa assai più preziosa dei soldi che dovrà pagare per l’Imu (a proposito della quale non è affatto chiaro se e come le scuole cattoliche si salveranno).
Già la presunzione di Monti nel chiamare “salva Italia” il suo decreto tartassatorio, oltreché irridente è quasi blasfema. Per i cristiani infatti a “salvare” è solo Dio. Non imperatori, tecnocrati, partiti, condottieri, duci o idoli vari. Al sedicente “salvatore” SuperMario si addice la battuta: “Dio esiste, ma non sei tu. Rilassati”.
Non è un caso se ieri questa decisione del “governo mari e Monti” è stata fulminata nell’editoriale di Avvenire come “emblematica di una deriva culturale, un nuovo ‘pensiero unico’ che maschera come una maggiore libertà e progresso, ciò che in realtà è un impoverimento e una restrizione della libertà stessa”. “Avvenire” (che ieri, con una bella pagina, ha fornito tutte le informazioni sull’iniziativa di oggi) denuncia il “ribaltamento di valore” che spazza via l’uomo e il giorno del Signore e “mette al centro la merce”. Sacrosanto.
Ma allora perché sostenere entusiasti questo governo e far accreditare perfino l’idea che esso segni il “ritorno alla politica” dei cattolici? Vorrei chiedere pure ai cosiddetti “ministri cattolici” Riccardi, Passera e Ornaghi: com’è stato possibile approvare entusiasticamente una tale assurdità? Perché una poltroncina val bene una messa? Speriamo di no. Ma se non è così si oppongano a questa norma. Si facciano sentire.

Antonio Socci

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