martedì 16 dicembre 2014

«Aborto, la più grande minaccia per la pace» La grande lezione di Madre Teresa

«Aborto, la più grande minaccia per la pace» 
La grande lezione di Madre Teresa


A 35 anni dal giorno in cui fu pronunciato, riproponiamo integralmente il discorso della Beata Madre Teresa di Calcutta per l'accettazione del Premio Nobel per la pace. È un discorso che rimane di una attualità sorprendente, nell'indicare l'aborto come la principale minaccia alla pace, e anzi è anche profetico rispetto al destino della nostra società. Ma è un discorso importante anche per un altro motivo, di metodo. Davanti a un consesso laico, anzi laicista, interessato soltanto alla sua opera per i poveri, Madre Teresa con grande semplicità e con grande autorevolezza ha parlato di Cristo. Rileggendo queste parole si comprende cosa significhi testimoniare la fede in qualsiasi circostanza, un abisso rispetto ai tanti prelati e teologi odierni che si preoccupano soltanto di parlare il linguaggio del mondo. Una grande lezione da riscoprire e imparare, perché il rinnovamento della Chiesa può nascere solo da questa santità vissuta.

Madre Teresa di Calcutta: 


Poiché ci troviamo qui riuniti insieme penso che sarebbe bello per ringraziare Dio per il premio Nobel per la pace che pregassimo con una preghiera di S. Francesco d’Assisi che mi sorprende sempre molto – noi diciamo questa preghiera ogni giorno dopo la Santa Comunione, perché è molto adatta a ciascuno di noi, e penso sempre che quattro-cinquecento anni fa quando S. Francesco d’Assisi compose questa preghiera dovevano avere le stesse difficoltà che abbiamo oggi, visto che compose una preghiera così adatta anche a noi.

Penso che alcuni di voi ce l’abbiano già, dunque pregheremo insieme. Ringraziamo Dio per l’opportunità che abbiamo tutti insieme oggi, per questo dono di pace che ci ricorda che siamo stati creati per vivere quella pace, e Gesù si fece uomo per portare questa buona notizia ai poveri. Egli essendo Dio è diventato uomo in tutto eccetto che nel peccato, e ha proclamato molto chiaramente di essere venuto per portare questa buona notizia. La notizia era pace a tutti gli uomini di buona volontà e questo è qualcosa che tutti vogliamo – la pace del cuore – e Dio ha amato il mondo tanto da dare suo Figlio – è stato un dono – è come dire che a Dio ha fatto male dare, perché ha amato tanto il mondo da dare suo Figlio, e lo dette alla Vergine Maria, e lei allora che cosa fece? Appena arrivò nella sua vita, fu subito ansiosa di darne la buona notizia, e appena entrò nella casa di sua cugina, il bambino – il bambino non ancora nato – il bambino nel grembo di Elisabetta, sussultò di gioia. Era un piccolo bambino non ancora nato, fu il primo messaggero di pace.

Riconobbe il Principe della Pace, riconobbe che Cristo era venuto a portare una buona notizia per me e per te. E se non fosse abbastanza – se non fosse abbastanza diventare uomo – egli morì sulla croce per mostrare quell’amore più grande, e morì per voi e per me e per quel lebbroso e per quell’uomo che muore di fame e per quella persona nuda nelle strade non solo di Calcutta ma dell’Africa, e New York, e Londra, e Oslo – e insistette che ci amassimo gli uni gli altri come lui ci ha amato. Lo abbiamo letto molto chiaramente nel Vangelo – amatevi come io vi ho amato – come io vi amo – come il Padre ha amato me così io amo voi – e tanto più forte il Padre lo ha amato, tanto da donarcelo, e quanto ci amiamo noi, noi pure dobbiamo donarci gli uni agli altri finché non fa male. Non è abbastanza per noi dire: amo Dio, ma non amo il mio prossimo. San Giovanni dice che sei un bugiardo se dici di amare Dio e non il prossimo. Come puoi amare Dio che non vedi se non ami il prossimo che vedi, che tocchi, con cui vivi? Così è molto importante per noi capire che l’amore, per essere vero, deve fare male.

Ha fatto male a Gesù amarci, gli ha fatto male. E per essere sicuro che ricordassimo il suo grande amore si fece pane della vita per soddisfare la nostra fame del suo amore. La nostra fame di Dio, perché siamo stati creati per questo amore. Siamo stati creati a sua immagine. Siamo stati creati per amare ed essere amati, ed egli si è fatto uomo per permettere a noi di amare come lui ci ha amato. Egli è l’affamato – il nudo – il senza casa – l’ammalato – il carcerato – l’uomo solo – l’uomo rifiutato – e dice: l’avete fatto a me. Affamato del nostro amore, e questa è la fame dei nostri poveri. Questa è la fame che voi e io dobbiamo trovare, potrebbe stare nella nostra stessa casa. Non dimentico mai l’opportunità che ebbi di visitare una casa dove tenevano tutti questi anziani genitori di figli e figlie che li avevano semplicemente messi in un istituto e forse dimenticati.

Sono andata là, ho visto che in quella casa avevano tutto, cose bellissime, ma tutti guardavano verso la porta. E non ne ho visto uno con il sorriso in faccia. Mi sono rivolta alla Sorella e le ho domandato: come mai? Com’è che persone che hanno tutto qui, perché guardano tutti verso la porta, perché non sorridono? Sono così abituata a vedere il sorriso nella nostra gente, anche i morenti sorridono, e lei disse: questo accade quasi tutti i giorni, aspettano, sperano che un figlio o una figlia venga a trovarli. Sono feriti perché sono dimenticati – e vedete, è qui che viene l’amore. Come la povertà arriva proprio a casa nostra, dove trascuriamo di amarci.

Forse nella nostra famiglia abbiamo qualcuno che si sente solo, che si sente malato, che è preoccupato, e questi sono giorni difficili per tutti. Ci siamo, ci siamo per accoglierli, c’è la madre ad accogliere il figlio? Sono stata sorpresa di vedere in Occidente tanti ragazzi e ragazze darsi alle droghe, e ho cercato di capire perché – perché succede questo, e la risposta è: perché non hanno nessuno nella loro famiglia che li accolga. Padre e madre sono così occupati da non averne il tempo. I genitori giovani sono in qualche ufficio e il figlio va in strada e rimane coinvolto in qualcosa. Stiamo parlando di pace. Queste sono cose che distruggono la pace, ma io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta – un’uccisione diretta – un omicidio commesso dalla madre stessa.

E leggiamo nelle Scritture, perché Dio lo dice molto chiaramente: anche se una madre dimenticasse il suo bambino – io non ti dimenticherò – ti ho inciso sul palmo della mano. Siamo incisi nel palmo della Sua mano, così vicini a lui che un bambino non nato è stato inciso nel palmo della mano di Dio. E quello che mi colpisce di più è l’inizio di questa frase, che persino se una madre potesse dimenticare, qualcosa di impossibile – ma perfino se si potesse dimenticare – io non ti dimenticherò. E oggi il più grande mezzo – il più grande distruttore della pace è l’aborto. E noi che stiamo qui – i nostri genitori ci hanno voluti. Non saremmo qui se i nostri genitori non lo avessero fatto. I nostri bambini li vogliamo, li amiamo, ma che cosa è di milioni di loro? Tante persone sono molto, molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa dove tanti ne muoiono, di malnutrizione, fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo è ciò che è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla.

Per questo faccio appello in India, faccio appello ovunque. Restituiteci i bambini, quest’anno è l’anno dei bambini. Che abbiamo fatto per i bambini? All’inizio dell’anno ho detto, ovunque abbia parlato ho detto: quest’anno facciamo che ogni singolo bambino, nato o non nato, sia desiderato. E oggi è la fine dell’anno, abbiamo reso ogni bambino desiderato? Vi darò qualcosa di impressionante. Stiamo combattendo l’aborto con le adozioni, abbiamo salvato migliaia di vite, abbiamo inviato messaggi a tutte le cliniche, gli ospedali, le stazioni di polizia – per favore non distruggete i bambini, li prenderemo noi. Così ad ogni ora del giorno e della notte c’è sempre qualcuno, abbiamo parecchie ragazze madri – dite loro di venire, noi ci prenderemo cura di voi, prenderemo il vostro bambino, e troveremo una casa per il bambino. E abbiamo un’enorme domanda da parte di famiglie senza bambini, per noi questa è una grazia di Dio. Stiamo anche facendo un’altra cosa molto bella – stiamo insegnando ai nostri mendicanti, ai nostri lebbrosi, agli abitanti degli slum, alla nostra gente sulla strada, i metodi naturali di pianificazione familiare.

E solo in Calcutta in sei anni – nella sola Calcutta – abbiamo avuto 61.273 bambini in meno da famiglie che li avrebbero avuti, ma perché praticano questo metodo naturale di astinenza, di auto-controllo, con amore reciproco. Insegniamo loro il metodo della temperatura che è molto bello, molto semplice, e la nostra povera gente capisce. E sapete che cosa mi hanno detto? La nostra famiglia è sana, la nostra famiglia è unita, e possiamo avere un bambino ogni volta che vogliamo. Così chiaro – quelle persone nelle strade, quei mendicanti – e io penso che se la nostra gente può farlo tanto più potete voi e tutti gli altri che potete conoscere i metodi e i mezzi senza distruggere la vita che Dio ha creato in noi. I poveri sono grandi persone. Possono insegnarci molte cose belle. L’altro giorno uno di loro è venuto a ringraziare e ha detto: voi che avete fatto voto di castità siete le persone migliori per insegnarci la pianificazione familiare.

Perché non è altro che auto-controllo per amore reciproco. E penso che abbiano detto una frase molto bella. E queste sono persone che magari non hanno niente da mangiare, magari non hanno dove vivere, ma sono grandi persone. I poveri sono persone meravigliose. Una sera siamo uscite e abbiamo raccolto quattro persone per la strada. Una di loro era in condizioni terribili – e ho detto alle Sorelle: prendetevi cura degli altri tre, io mi occupo di questa che sembrava stare peggio. Ho fatto per lei tutto quello che il mio amore poteva fare. L’ho messa a letto, e c’era un tale meraviglioso sorriso sulla sua faccia. Ha preso la mia mano e ha detto solo una parola: grazie, ed è morta. Non ho potuto non esaminare la mia coscienza di fronte a lei, e mi sono chiesta cosa avrei detto al suo posto. E la mia risposta è stata molto semplice. Avrei provato ad attirare un po’ di attenzione su di me, avrei detto che ho fame, che sto morendo, che ho freddo, dolore, o altro, ma lei mi ha dato molto di più – mi ha dato il suo amore riconoscente. Ed è morta con il sorriso sul volto.

Come quell’uomo che abbiamo raccolto dal canale, mezzo mangiato dai vermi, e l’abbiamo portato a casa: «Ho vissuto come un animale per strada, ma sto per morire come un angelo, amato e curato». Ed è stato così meraviglioso vedere la grandezza di quell’uomo che poteva parlare così, poteva morire senza accusare nessuno, senza maledire nessuno, senza fare paragoni. Come un angelo – questa è la grandezza della nostra gente. Ed è per questo che noi crediamo che Gesù disse: ero affamato – ero nudo – ero senza casa – ero rifiutato, non amato, non curato – e l’avete fatto a me. Credo che noi non siamo veri operatori sociali. Forse svolgiamo un lavoro sociale agli occhi della gente, ma in realtà siamo contemplative nel cuore del mondo. Perché tocchiamo il Corpo di Cristo ventiquattro ore al giorno. Abbiamo ventiquattro ore di questa presenza, e così voi e io. Anche voi provate a portare questa presenza di Dio nella vostra famiglia, perché la famiglia che prega insieme sta insieme. E io penso che noi nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e armi, di distruggere per portare pace – semplicemente stiamo insieme, amiamoci reciprocamente, portiamo quella pace, quella gioia, quella forza della presenza di ciascuno in casa. E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo. C’è tanta sofferenza, tanto odio, tanta miseria, e noi con la nostra preghiera, con il nostro sacrificio iniziamo da casa.

L’amore comincia a casa, e non è quanto facciamo, ma quanto amore mettiamo in quello che facciamo. Sta a Dio Onnipotente – quanto facciamo non ha importanza, perché Lui è infinito, ma quanto amore mettiamo in quello che facciamo. Quanto facciamo a Lui nella persona che stiamo servendo. Qualche tempo fa a Calcutta avemmo grande difficoltà ad ottenere dello zucchero, e non so come i bambini lo seppero, e un bambino di quattro anni, un bambino Hindu, andò a casa e disse ai suoi genitori: non mangerò zucchero per tre giorni, darò il mio zucchero a Madre Teresa per i suoi bambini. Dopo tre giorni suo padre e sua madre lo portarono alla nostra casa. Non li avevo mai incontrati prima, e questo piccolo riusciva a malapena pronunciare il mio nome, me sapeva esattamente che cosa era venuto a fare. Sapeva che voleva condividere il suo amore. E questo è perché ho ricevuto tanto amore da voi tutti. Dal momento che sono arrivata qui sono stata semplicemente circondata da amore, da vero amore comprensivo. Si percepiva come se ciascuno in India, ciascuno in Africa fosse qualcuno molto speciale per voi. E mi sono sentita proprio a casa dicevo alla Sorella oggi. Mi sento in Convento con le Sorelle come se fossi a Calcutta con le mie Sorelle. Così completamente a casa qui, proprio qui.

E così sono qui a parlarvi – voglio che voi troviate il povero qui, innanzitutto proprio a casa vostra. E cominciate ad amare qui. Siate questa buona notizia per la vostra gente. E informatevi sul vostro vicino di casa – sapete chi sono? Ho avuto un’esperienza veramente straordinaria con una famiglia Hindu che aveva otto bambini. Un signore venne alla nostra casa e disse: Madre Teresa, c’è una famiglia con otto bambini, non mangiano da tanto tempo – faccia qualcosa. Così ho preso del riso e sono andata immediatamente. E ho visto i bambini – i loro occhi luccicanti per la fame – non so se abbiate mai visto la fame. Ma io l’ho vista molto spesso. E lei prese il riso, lo divise, e uscì. Quando fu tornata le chiesi – dove sei andata, che hai fatto? Lei mi dette una risposta molto semplice: anche loro hanno fame. Quel che mi colpì di più fu che lei sapeva – e chi sono loro, una famiglia musulmana – lei lo sapeva. Non portai più del riso quella sera perché volevo che godessero la gioia della condivisione. Ma c’erano quei bambini, che irradiavano gioia, condividendo la gioia con la loro madre perché lei aveva amore da dare. E vedete è qui che comincia l’amore – a casa. E voglio che voi – e sono molto grata per quello che ho ricevuto.

È stata un’esperienza enorme e torno in India – tornerò la prossima settimana, il 15 spero – e potrò portare il vostro amore. E so bene che non avete dato del vostro superfluo, ma avete dato fino a farvi male. Oggi i piccoli bambini hanno – ero così sorpresa – c’è così tanta gioia per i bambini che hanno fame. Che i bambini come loro avranno bisogno di amore e cura e tenerezza, come ne hanno tanto dai loro genitori. Così ringraziamo Dio che abbiamo avuto questa opportunità di conoscerci, e questa conoscenza reciproca ci ha portati così vicini. E potremo aiutare non solo i bambini indiani e africani ma potremo aiutare i bambini del mondo intero, perché come sapete le nostre Sorelle stanno in tutto il mondo.

E con questo premio che ho ricevuto come premio di pace, proverò a fare una casa per molti che non hanno una casa. Perché credo che l’amore cominci a casa, e se possiamo creare una casa per i poveri – penso che sempre più amore si diffonderà. E potremo mediante questo amore comprensivo portare pace, essere la buona notizia per i poveri. I poveri della nostra famiglia per primi, nel nostro paese e nel mondo. Per poter fare questo, le nostre Sorelle, le nostre vite devono essere intessute di preghiera.

Devono essere intessute di Cristo per poter capire, essere capaci di condividere. Perché oggi c’è così tanto dolore – e sento che la passione di Cristo viene rivissuta ovunque di nuovo – siamo noi là a condividere questa passione, a condividere questo dolore della gente. In tutto il mondo, non solo nei paesi poveri, ma ho trovato la povertà dell’occidente tanto più difficile da eliminare. Quando prendo una persona dalla strada, affamata, le do un piatto di riso, un pezzo di pane, l’ho soddisfatta. Ho rimosso quella fame. Ma una persona che è zittita, che si sente indesiderata, non amata, spaventata, la persona che è stata gettata fuori dalla società – quella povertà è così dolorosa e diffusa, e la trovo molto difficile. Le nostre Sorelle stanno lavorando per questo tipo di persone nell’Occidente. Allora dovete pregare per noi affinché siamo capaci di essere questa buona notizia, ma non possiamo farlo senza di voi, lo dovete fare qui nel vostro paese.

Dovete arrivare a conoscere i poveri, magari la gente qui ha beni materiali, tutto, ma penso che se noi tutti cerchiamo nelle nostre case, quanto troviamo difficile a volte sia sorriderci reciprocamente, e che il sorriso è l’inizio dell’amore. E così incontriamoci sempre con un sorriso, perché il sorriso è l’inizio dell’amore, e quando cominciamo ad amarci è naturale voler fare qualcosa. Così pregate per le nostre Sorelle e per me e per i nostri Fratelli, e per i nostri Collaboratori che sono sparsi nel mondo. Essi possono rimanere fedeli al dono di Dio, amarlo e servirlo nei poveri insieme con voi. Quello che abbiamo fatto non avremmo potuto farlo se voi non lo aveste condiviso con le vostre preghiere, i vostri doni, questo continuo dare. Ma non voglio che mi diate del vostro superfluo, voglio che mi diate finché vi fa male. L’altro giorno ho ricevuto 15 dollari da un uomo che è stato sdraiato per venti anni, e l’unica parte che poteva muovere è la mano destra. E l’unica cosa di cui gode è fumare. E mi ha detto: non fumo per una settimana, e ti mando questi soldi.

Deve essere stato un sacrificio terribile per lui, ma guardate quanto è bello, come ha condiviso, e con quei soldi ho comprato del pane e l’ho dato a quelli che sono affamati con gioia da tutte e due le parti, lui stava dando e i poveri stavano ricevendo. Questo è qualcosa che voi e io – è un dono di Dio per noi poter condividere il nostro amore con gli altri. E fate come se fosse per Gesù. Amiamoci gli uni gli altri come egli ci ha amato. Amiamo Lui con amore indiviso. E la gioia di amare Lui e amarci gli uni gli altri – diamo ora – che Natale è così vicino. Conserviamo la gioia di amare Gesù nei nostri cuori. E condividiamo questa gioia con tutti quelli con cui veniamo in contatto. E questa gioia radiosa è vera, perché non abbiamo motivo di non essere felici perché noi abbiamo Cristo con noi. Cristo nei nostri cuori, Cristo nel povero che incontriamo, Cristo nel sorriso che diamo e nel sorriso che riceviamo. Facciamone un impegno: che nessun bambino sia indesiderato, e anche che ci accogliamo con un sorriso, specialmente quando è difficile sorridere.

Non dimentico mai, qualche tempo fa circa quattordici professori vennero dagli Stati Uniti da diverse università. E vennero a Calcutta nella nostra casa. Stavano parlando e dicevano di essere stati alla casa per i morenti. Abbiamo una casa per i morenti a Calcutta, dove abbiamo raccolto più di 36000 persone solo dalle strade di Calcutta, e di questo grande numero più di 18000 hanno avuto una bella morte. Sono semplicemente andati a casa da Dio; e sono venuti nella nostra casa e abbiamo parlato di amore, di compassione, e poi uno di loro mi ha chiesto: Madre, per favore ci dica qualcosa che possiamo ricordare, e ho detto loro: sorridetevi gli uni gli altri, dedicatevi del tempo nelle vostre famiglie. Sorridetevi.

E un altro mi ha chiesto: sei sposata? E ho detto: sì, e trovo a volte molto difficile sorridere a Gesù perché può essere molto esigente a volte. Questo è qualcosa di vero, ed è là che viene l’amore – quando è esigente, e tuttavia possiamo darlo a Lui con gioia. Come ho detto oggi, ho detto che se non vado in Cielo per qualcos’altro andrò in cielo per tutta la pubblicità perché mi ha purificata e sacrificata e resa veramente pronta ad andare in Cielo. Penso che questo sia qualcosa, che dobbiamo vivere la nostra vita in modo bello, abbiamo Gesù con noi e Lui ci ama. Se potessimo solo ricordarci che Gesù ci ama, e ho l’opportunità di amare gli altri come lui ama me, non nelle grandi cose, ma nelle piccole cose con grande amore, allora la Norvegia diventerebbe un nido d’amore. E quanto bello sarà che da qui sia stato dato un centro per la pace. Che da qui esca la gioia per la vita dei bambini non nati. Se diventate una luce bruciante nel mondo della pace, allora veramente il Nobel per la pace è un dono per il popolo norvegese.

giovedì 20 novembre 2014

Il cancro è questione di cellule Ma l'universo è la prova di Dio. Antonino Zichichi risponde ad Umberto Veronesi.

«Dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio non esiste?». Lo sostiene Umberto Veronesi nel suo ultimo libro «Il mestiere di uomo». Ma ora a rispondergli è Antonino Zichichi, fisico e presidente Wfs (World federation of scientists).

Il cancro è questione di cellule 
Ma l'universo è la prova di Dio.

Auschwitz e cancro sono tragiche realtà, 
ma dietro a stelle e galassie c'è una logica. 
E quindi un autore. 
(di Antonino Zichichi)

L'oncologo così racconta il suo progressivo allontanamento: «Non saprei dire qual è stato il mio primo giorno senza Dio. Sicuramente dopo l'esperienza della guerra non misi mai più piede in una chiesa, ma il tramonto della fede era iniziato molto prima (...)».

A 18 anni andò in guerra. «(...) oltre alle stragi dei combattimenti, ho toccato con mano anche la follia del nazismo e non ho potuto non chiedermi, come fece Hannah Arendt prima e Benedetto XVI molti anni dopo: “Dov'era Dio ad Auschwitz?”». E infine l'incontro con la tragedia del cancro: «Allo stesso modo di Auschwitz, è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell'amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi?».

Alle nove del mattino del giorno dedicato alla celebrazione di tutti i Santi (primo novembre 1755), il terrore si abbatté sulla splendida e ricca capitale del Portogallo. Una serie di scosse telluriche seguite da inondazioni e incendi devastarono la splendida Lisbona: diecimila i morti e tre quarti delle case distrutte. La catastrofe sconvolse l'Europa e Voltaire concluse che questa era la prova della non esistenza di Dio.

Nel secolo scorso, la follia politica ha causato milioni di vittime innocenti. Auschwitz e cancro sono due esempi di tragiche realtà. Una dovuta alla follia politica del nazismo, l'altra alla natura. Perché Dio non interviene per evitare il ripetersi di tante tragiche realtà? Nel secolo in cui viviamo, la potenza distruttiva nelle mani dell'uomo potrebbe cancellare qualunque segno di vita su questo piccolo e indifeso satellite del Sole. Chi osservasse da una lontana galassia questa nostra navicella spaziale e ciò che in essa accade, dovrebbe concludere che la Terra deve produrre facilmente più esplosivi che cibo. Per ciascun abitante ci sono infatti migliaia di chili di potenza esplosiva e mancano quelle poche centinaia di chili di cibo per evitare che milioni di persone - ancora oggi - muoiano per fame.

Come se non bastasse, la potenza del calcolo elettronico è tale da poter mettere sotto controllo un numero di persone superiore a quello di tutti gli abitanti della Terra.

Come la mettiamo con l'esistenza di Dio?

Se la nostra esistenza si esaurisse nell'immanente, il discorso sarebbe chiuso qui. Immanente vuol dire tutto ciò che i nostri cinque sensi riescono a percepire. Questi nostri cinque sensi sono il risultato dell'evoluzione biologica. C'è però un'altra forma di evoluzione che batte quella biologica: l'evoluzione culturale. L'evoluzione biologica della specie umana non avrebbe mai portato l'uomo a scoprire se esiste o no il supermondo, come facciamo al Cern. Né a viaggiare con velocità supersoniche. Né a vincere su tante forme di malattia che affliggevano i nostri antenati. La nostra vita media ha superato gli 80 anni e le previsioni vanno oltre i cento anni, grazie alla scoperta che il mondo in cui viviamo è retto da leggi universali e immutabili. Nel «libro della natura», aperto poco meno di quattro secoli fa da Galileo Galilei, mai una virgola è stata trovata fuori posto.

La speranza all'uomo del terzo millennio, solo la scienza e la fede possono darla. Questa speranza ha due colonne. Nella sfera trascendentale della nostra esistenza la colonna portante è la fede. Nella sfera immanentistica della nostra esistenza la colonna portante è la scienza.

Noi siamo l'unica forma di materia vivente dotata della straordinaria proprietà detta ragione. È grazie a questa proprietà che è stata inventata la memoria collettiva permanente, meglio nota come scrittura. È così che possiamo sapere cosa pensava Voltaire sulla catastrofe naturale che distrusse Lisbona. Ed è sempre grazie alla scrittura che i nostri posteri potranno sapere cosa stiamo facendo noi avendo a disposizione la logica rigorosa teorica (meglio nota come matematica) e la logica rigorosa sperimentale (meglio nota come scienza). La scienza ci dice che non è possibile derivare dal caos la logica che regge il mondo, dall'universo sub-nucleare all'universo fatto con stelle e galassie. Se c'è una logica deve esserci un Autore. L'ateismo, partendo dall'esistenza di tutti i drammi che affliggono l'umanità, sostiene che se Dio esistesse queste tragedie non potrebbero esistere. Cristo è il simbolo della difesa dei valori della vita e della dignità umana. Che sia figlio di Dio è un problema che riguarda la sfera trascendentale della nostra esistenza. Negare l'esistenza di Dio però equivale a dire che non esiste l'autore della logica rigorosa che regge il mondo. Tutto dovrebbe esaurirsi nella sfera dell'immanente la cui più grande conquista è la scienza.

La scienza però non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l'esistenza di Dio. L'ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla.


Fonte: IlGiornale

lunedì 10 novembre 2014

La tragedia dei milioni di vittime mietuti dell'ateismo. Perché il Muro di Berlino non scompaia nel nulla.

La tragedia dei milioni di vittime mietuti dell'ateismo. 
Perché il Muro di Berlino non scompaia nel nulla.


Domenica 9 novembre si è celebrato il 25° anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino, quella “barriera della vergogna” che troppo a lungo è stato l’ignominioso simbolo dei crimini perpetrati in tantissimi luoghi del mondo dal comunismo al cuore del quale stava l’ideologia atea e violenta del marxismo-leninismo.

Le parole spese nell’occasione per ricordare il Muro sono state tante, tantissime. Non altrettante quelle spese per ricordare l’immenso tributo di sangue pagato da milioni e milioni di persone, talora ancora senza nome, sacrificate sull’altare del materialismo più bieco. Tra queste vittime innocenti, i cristiani in genere e i cattolici in specie sono sempre stati tra i primi.


Nel 2010, sul quotidiano vaticano L’Osservatore Romano don Jan Mikrut, docente nella Pontificia Università Gregoriana, firmava un articolo mirabile, dal titolo Le memorie senza volto del comunismo.

Mikrut era stato il responsabile dell'Ufficio cause di beatificazione dell'arcidiocesi di Vienna e il curatore della redazione del nuovo Martirologio della Chiesa austriaca per l'anno 2000 e la collaborazione col Comitato nuovi martiri, che si occupava di elaborare le statistiche dei martiri cristiani per il grande Giubileo. In questa veste aveva dunque avuto la possibilità di avere una visione mondiale delle persecuzioni del XX secolo.

Il suo articolo riletto oggi mette ancora i brividi, ed è un modo validissimo per non lasciare che il ritmo del calendario dissipi in noi il ricordo dei martiri del comunismo.

Scriveva don Mikrut:


«Nelle statistiche preparate della Commissione nuovi martiri per il Grande Giubileo del 2000 si contano 12.692 martiri, così ripartiti:  dall'Europa 8.670, dall'Asia 1.706, dall'Africa 746, dall'America del nord e del sud 333, dall'Oceania 126. Un gruppo particolare è dato dai 1.111 martiri dell'Unione Sovietica. Nella statistica della vecchia Europa si contano 3.970 preti diocesani, 3.159 religiosi e religiose, 1.351 laici, 134 seminaristi, 38 vescovi, 2 cardinali, 13 catechisti. In totale in Europa abbiamo avuto 8.667 testimoni di Cristo. Nel contesto mondiale tra i martiri si annoverano 5.173 preti diocesani, 4.872 religiosi e religiose, 2.215 laici, 124 catechisti, 164 seminaristi, 122 vescovi, 4 cardinali e 12 catecumeni.

«Il XX secolo è stato il periodo dei totalitarismi, delle due guerre mondiali, delle rivoluzioni, dei tragici genocidi e delle infinite persecuzioni religiose. Tra tutte le tragedie sopra accennate, la persecuzione più grande fu la battaglia organizzata contro il cristianesimo dal comunismo internazionale. Solo il Libro nero del comunismo curato da Stéphane Courtois offre una provvisoria statistica di 85 milioni di morti causati dal totalitarismo comunista.

«In Russia vivevano da secoli anche altre confessioni cristiane, oltre a ebrei e musulmani; ma chiunque non condividesse la nuova ideologia atea dei comunisti doveva essere allontanato con forza dalla società. Nascono così i cosiddetti Gulag, dal russo "Direzione principale dei campi di lavoro correttivi". Il numero di morti nei Gulag è ancora oggetto di indagine:  una stima provvisoria parla di tre milioni. L'incredibile persecuzione dei numerosi oppositori politici è ben nota anche grazie alle pubblicazioni scritte dagli stessi detenuti, il più famoso dei quali fu Aleksander Solzenicyn, che nel suo Arcipelago Gulag ha raccontato la tragedia dei detenuti, ha fatto conoscere la parola Gulag e l'esistenza stessa di questi campi. […]

«Dopo la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del nazionalsocialismo, il sistema comunista trovò terreno fertile in Europa. Lo schema era ben collaudato:  la Chiesa cattolica con le sue strutture rappresentava il vecchio sistema da cui liberarsi; la religione fu declassata a strumento di manipolazione da parte dei preti e delle loro istituzioni. Il nuovo sistema ateo doveva liberare la società dall'influenza della Chiesa. Il marxismo-leninismo diventa il nuovo sistema politico-economico. Nel 1945 l'esercito russo liberò dal nazionalsocialismo tedesco grandi territori dell'Europa:  Albania, Austria, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania, Polonia, Romania, Ungheria. Nei Paesi dove i precedenti governi erano nazionalsocialisti come Austria, Germania, Slovacchia e Ungheria l'Armata rossa entrò come il vincitore con il diritto del bottino di guerra.
Moltissime furono le vittime di queste rappresaglie e tra queste numerosi sacerdoti e suore. Per l'esercito russo anche i rappresentanti della Chiesa furono responsabili delle tragedie causate dai nazionalsocialisti e per questo molti sacerdoti uccisi nei primi giorni dopo la liberazione furono dichiarati pericolosi nemici del comunismo.  […]

«L'Albania fu il primo Paese europeo a dichiararsi ateo e a essere governato secondo l'ideologia comunista. Nel 1967 fu ufficialmente introdotto l'ateismo come fondamento per la vita della società e fu proibita ogni forma di culto religioso. Il governo dichiarò con orgoglio che l'Albania era diventato il primo Stato ateo del mondo. Nella nuova costituzione del Paese, approvata nel 1976, all'articolo 37 recitava "lo Stato non riconosce alcuna religione e sostiene la propaganda atea per infondere alle persone la visione scientifico-materialista del mondo". Il governo procedette alla confisca di moschee, chiese, monasteri e sinagoghe. Gli edifici di culto furono trasformati in musei o uffici pubblici, magazzini, cinema, stalle per animali. Ai genitori fu proibito dare ai figli nomi con riferimenti religiosi. In seguito furono uccisi a Tirana i primi due sacerdoti, Lazër Shantoja e Mark Gjani. Nel 1947 fu ucciso a Scutari il gesuita Ndoc Saraci. Un anno dopo, nel 1948, furono fucilati i vescovi Gjergj Volaj e Frano Gjini e, nel 1949, dopo terribili torture, morì in prigione l'arcivescovo di Tirane-Durrës Vincenz Nikollë Prennushi. Colpire duramente la comunità cattolica significava cancellare la lunga e tollerante tradizione del Paese per far posto alla nuova e aggressiva ideologia comunista. In Albania furono uccisi 5 vescovi, 60 sacerdoti, 30 religiosi francescani, 13 gesuiti, 10  seminaristi  e 8 suore. La lista non è  ancora  completa,  mancano  i  martiri laici uccisi durante il periodo comunista.

Tra le figure di spicco della resistenza religiosa va in primo luogo ricordato coraggioso padre Mikel Koliqi (1902-1997), creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1994. Padre Mikel Koliqi era stato condannato ai lavori forzati già nel 1945, con la banale accusa di ascoltare le stazioni straniere della radio».

da «L'Osservatore Romano»

domenica 19 ottobre 2014

Ecco cosa avrebbe detto il beato Papa Paolo VI al #Sinodo. Da una lettera pastorale per la famiglia cristiana.

COSA AVREBBE DETTO PAOLO VI AL SINODO: 

LE SEVERISSIME PAROLE DI CRISTO NON POSSONO ESSERE ANNULLATE, NÈ ADDOLCITE

È necessario, a questo riguardo, che noi ricordiamo le solenni parole del Vangelo a difesa della fedeltà coniugale: «Io vi dico - è Cristo che parla! - che chiunque lascia la propria moglie..., e ne sposa un'altra, commette adulterio, e chi si unisce con donna ripudiata, diventa adultero» (cfr Mt. 5, 32).
La legge divina, interprete e fondatrice delle più profonde esigenze umane, è, su questo punto, severissima. «Nostro Signor Gesù Cristo - scrive Papa Pio XI - non volle solamente proibire qualsiasi forma, sia successiva, sia simultanea, come dicono, di poligamia e di poliandria, o qualsiasi altra azione esterna disonesta; ma di più ancora, perché si custodisse il santuario sacro della famiglia, proibì gli stessi pensieri volontari e desideri su tali cose: "Ma lo vi dico che chiunque guarda una donna con desiderio impuro ha già commesso in cuor suo adulterio con essa". E queste parole di Cristo non possono essere annullate, neppure per consenso del coniuge, poiché esse rappresentano la legge stessa di Dio e della natura, che nessuna volontà umana può distruggere o modificare» (Casti Conn. n. 9).
 È un linguaggio che diventa strano e insolito per l'orecchio moderno, avvezzo alla casistica, sempre più varia e più ricca, della dissolutezza coniugale, e alle espressioni che ne ammorbidiscono con cortesi ipocrisie l'ignobile crudezza. Ma è il linguaggio, che noi cristiani non possiamo sostituire: adultero dovremo chiamare chiunque infrange il vincolo che il matrimonio ha reso intangibile e sacro. Avremo delicatezza, compassione, comprensione per i deboli, che la passione e l'interesse trascinano fuori della via solare d'uno dei pili sacrosanti doveri; ma non ammetteremo che il rilassato costume cambi per noi il giudizio su questo delitto, stemperi il linguaggio che lo definisce, e pieghi a comoda rassegnazione le nostre abitudini sociali. (Si veda S. Ambrogio, in Lucam, VIII, 2-9).

Cosa avrebbe detto Paolo VI al Sinodo: le severissime parole di Cristo non possono essere annullate, nè addolciteViene poi il grande argomento del divorzio. Se ne parla molto e vogliamo credere che tutti abbiano l'idea chiara su questo palliativo giuridico, contrario alla legge di Dio. Non per nulla la Chiesa vi si oppone con inflessibile energia: essa è la custode più gelosa della vita, dell'amore, dell'onestà; essa è la difesa più tenace del bene sociale che deriva dall'indissolubilità della famiglia; essa la tutrice più fiera e più tenera dei figli innocenti, che il divorzio priva di genitori fedeli e responsabili.
Non ne possiamo qui parlare distesamente; ma raccomandiamo a tutti: sacerdoti, giuristi, scrittori, insegnanti, e specialmente ai genitori di vigilare su la non mai sopita campagna in favore del divorzio, ricordando la circostanza, che fa onore all'Italia e che ne tutela uno dei beni migliori, e cioè la non esistenza del divorzio nella legislazione civile, e non dimenticando che ogni infrazione, foss'anche col così detto «piccolo divorzio», alla stabilità della famiglia non sarebbe rimedio ai mali, che si vorrebbero togliere con tale legalizzazione dell'infedeltà coniugale, essa li aumenterebbe enormemente. La previsione del divorzio possibile ne favorisce le cause. «La consapevolezza della indissolubilità del matrimonio aiuta (i coniugi) a contenersi nei limiti dai quali deriva una relativa felicità, mentre la visione della possibilità dello scioglimento del matrimonio serve fatalmente ad aumentare, esasperandole, le circostanze che rendono infelice la vita coniugale».

Paolo VI, lettera pastorale per la quaresima del 1960 «Per la famiglia cristiana» 

giovedì 3 aprile 2014

Intervista a Alexey Komarov: «Ecco perché la mia #Russia, a un passo dal suicidio umano e demografico, ha deciso di dire sì alla vita»

«Ecco perché la mia Russia, 

a un passo dal suicidio 

umano e demografico,

 ha deciso di dire sì alla vita»


Alexey Komov (Congresso mondiale Famiglie): «La svolta “life-friendly” di Mosca? Putin asseconda solo la rinascita del nostro popolo dopo il regime sovietico. E pazienza se voi europei non capite»

«Noi russi abbiamo vissuto sulla nostra pelle le conseguenze di un’ideologia che ci aveva fatto credere che saremmo stati felici senza Dio. Siamo arrivati a un centimetro dal suicidio umano e demografico. Adesso vogliamo tornare indietro». Alexey Komov è l’ambasciatore presso le Nazioni Unite del Congresso mondiale delle Famiglie, la più grande piattaforma internazionale per la difesa della famiglia naturale. In Italia per un convegno su Russia ed Europa organizzato a Rovereto dalla rivista Notizie Pro Vita, ha accettato di spiegare a Tempi le ragioni della svolta “life-friendly” di Mosca dopo il crollo del comunismo.

In effetti negli anni Novanta, dopo settant’anni di regime, la Russia aveva indici di sviluppo umano da agonia.

Fino alla vigilia della Rivoluzione bolscevica del 1917 il cristianesimo ortodosso era il fulcro della società russa. Nell’Ottocento l’ideologia marxista, partorita in Occidente, fece breccia nel cuore di alcuni intellettuali e borghesi russi. Secondo il materialismo comunista la scienza sarebbe riuscita a rendere l’uomo padrone di tutto. Non c’era più posto per la Chiesa che ricorda la dipendenza da Dio e dalle leggi naturali per la realizzazione dell’uomo e del bene comune. Perché la Russia ora guarda a queste idee con grande sospetto? Perché fummo i primi a conoscerle. Dopo la Rivoluzione d’ottobre fu legalizzato l’aborto, il divorzio, la famiglia come “affare” di Stato. Sull’orlo del precipizio ci siamo voluti fermare.


Però la svolta “confessionale” di Putin e l’idea di fare della Russia una sorta di baluardo della cristianità non gode di buona stampa in Occidente.

Senta, innanzitutto il governo sta approvando leggi che proteggono l’essere umano, cosa che si dovrebbe pretendere da ogni sovrano. Poi la valorizzazione del cristianesimo deriva dal fatto che Putin si è accorto che nel degrado assoluto l’unica cosa che ha resistito è stata la Chiesa ortodossa. La Russia ha provato il dolore di vivere senza Dio, per questo non crede più al comunismo e rigetta l’ateismo. Non a caso oggi il 77 per cento dei russi dichiara di credere in Dio e il 69 per cento è battezzato. Negli ultimi vent’anni sono state ricostruite trentamila chiese, seicento monasteri e altre duecento chiese sorgeranno presto a Mosca. Capisco che l’Occidente non capisca, visto quello che succede da voi. Però è così, il governo non sta imponendo nulla. E Putin sta solo prendendo atto del sentimento religioso riemergente nel popolo russo.


In Russia vige ancora un sistema autoritario che ha ben poco di compatibile con la nostra democrazia.

La “vostra” democrazia? In Occidente siete arrivati al punto di vedervi costretti per legge, e senza che nessuno abbia chiesto il vostro parere, a insegnare ai vostri figli che secondo questa “teoria del gender” non esistono “la mamma” e “il papà”, ma solo genitori A e B, che possono essere anche dello stesso sesso, e che si deve “scegliere” se essere “bambini” o “bambine”. Però senza discriminazioni, perché tutti devono essere uguali… Ecco, quando sento queste cose, quando sento che questa sarebbe “democrazia”, ripenso a me bambino. Ricordo che camminando per strada vedevo gli edifici progettati dalla nostra “grande democrazia socialista”, ed erano tutti brutti, tutti grigi, tutti uguali. Poi da qualche parte spuntava ancora qualche chiesa, bellissima, e subito sorgeva in me il desiderio di entrarci, di andare a rifugiarmi lì. Oggi le parti si sono invertite. Il popolo russo non cede all’ideologia Lgbt perché è molto meno ingenuo di quello europeo. La gente sa bene come gli intellettuali possono arrivare a imporre ideologie disumane.


È sufficiente legiferare secondo il diritto naturale per cambiare un paese?

Tuttora in Russia c’è una grande crisi demografica. Vent’anni fa siamo arrivati a quattro milioni di bambini abortiti ogni anno. Ora siamo scesi a circa due milioni. La politica da sola non basterà mai. Ma per fermare l’ingiustizia è necessario vietarla per legge. E comunque a ridurre i numeri dell’aborto sono stati anche il divieto del governo di pubblicizzarlo, il fatto che le leggi prevedano il finanziamento dei Centri di aiuto alla vita, lo stanziamento di una somma pari a dieci mila euro per il secondo figlio e concessioni demaniali a chi ne ha più di tre. Per il resto è compito dei cristiani e degli uomini di buona volontà ricostruire il tessuto sociale.


Qual è la situazione della famiglia oggi in Russia?

La situazione sta migliorando, ma ancora la metà dei matrimoni finisce in divorzi. La cultura di massa che passa attraverso la televisione, i film americani, le riviste e i media digitali condizionano le nuove generazioni. Anche in Russia i media restano i principali educatori…


La Russia rischia sanzioni per le sue leggi “contro la propaganda e il proselitismo gay”. Non teme il suo isolamento a livello internazionale?

No, perché la maggioranza dei russi la pensa esattamente come Putin. Il quale non ha nulla da temere perché il nostro paese dispone di un importante deterrente nucleare ed è lo snodo fra l’Europa e l’Asia. La nostra forza è sotto gli occhi di tutti. Basti pensare che insieme a papa Francesco siamo riusciti a frenare la guerra in Siria e a bloccare il piano di Obama di bombardare Damasco. E mi lasci dire che noi russi abbiamo anche un senso messianico della nostra presenza nel mondo. Messianismo che può essere pericoloso, come quando volevamo esportare ovunque il comunismo, ma che ritorna utile ora che vogliamo ritrovare le nostre radici cristiane.


E degli arresti delle Pussy Riot o degli attivisti di Greenpeace che dice? Non sono sintomi di un “regime”?

Le persone pensano anche che noi russi non abbiamo l’acqua, che viviamo in povertà e che c’è corruzione ovunque. Invece in Russia la qualità dei servizi è ottima, la tassazione è al 40 per cento, la popolazione sta mediamente bene, costruiamo molto, importiamo e la materia prima è sfruttata con intelligenza. C’è libertà di impresa e anche di espressione. Mentre in Occidente in certi ambienti non potete neppure indossare una croce.




Fonte: Benedetta Frigerio

lunedì 10 febbraio 2014

10 Febbraio - Il Giorno del Ricordo delle vittime delle Foibe e dell'esodo giuliano-dalmata - La storia (I).

Il 10 febbraio si ricordano le vittime delle Foibe e l'esodo giuliano-dalmata

Il Giorno del Ricordo
di Cristina Raschio

L'esodo giuliano-dalmata (dal sito di Roma Capitale)
E' solo del marzo 2004 la legge che istituì, il Giorno del Ricordo. Un silenzio di decenni definito da Claudio Magris "oltraggioso", una pagina considerata tra le più drammatiche della storia italiana.

Per 60 anni è stata inghiottita nel silenzio, annullata, cancellata. Proprio come migliaia e migliaia di persone: inghiottite, cancellate, annientate in quelle foibe della Venezia Giulia e della Dalmazia diventate il simbolo di un eccidio. È proprio lì, in quelle voragini carsiche tipiche dell'Istria, che fra il 1943 e il 1947 furono gettati dalla furia dei partigiani comunisti jugoslavi di Tito, vivi e morti, migliaia di italiani. A essere inghiottita è stata una tra le pagine più dolorose della storia nazionale. Morti, migliaia di morti. Ed esuli. Centinaia di migliaia di persone costrette all’esodo dalle proprie terre della Venezia Giulia e della Dalmazia. Costrette a fuggire in altre città italiane o all’estero: chi in America, chi in Australia. Un esodo durato oltre 10 anni.

Una storia che è stata dimenticata per anni dalla memoria collettiva, ma mai cancellata dalle menti di chi ha perso qualcuno, qualcosa, se stesso. Negli anni Novanta la politica interrompe quel silenzio e inizia a reinteressarsi di quella tragedia. Solo nel 2004, esattamente dieci anni fa, arriva una legge, una norma che istituisce il giorno del ricordo per le vittime delle Foibe e dell’esodo. Quel giorno sarà ed è il 10 febbraio e oggi ricorre il decimo anniversario.

La storia 


La prima grande ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell'armistizio dell’8 settembre 1943: inizia un periodo di sbandamento, l’esercito italiano si dissolve e in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano 'nemici del popolo’. Il massacro si ripete nella primavera del 1945, quando le truppe di Tito occupano Trieste, Gorizia e l'Istria. Le vittime sono gli italiani: non solo fascisti, ma anche personaggi che potevano rappresentare una classe dirigente dell’antifascismo perché punti di riferimento dell’opinione pubblica non allineata al nuovo potere. Tito si accanisce anche contro i partigiani, con i membri del Comitato di liberazione nazionale, contro tutti coloro che volevano difendere la comunità italiana. Sarebbero stati d’impiccio al suo grande progetto politico di annessione di quei territori. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini, ha raccontato a Mixer nel 1991 Graziano Udovisi, rappresentante della milizia italiana a Trieste e sopravvissuto a una foiba.

L'esodo giuliano dalmata

Zara è la prima città ad essere abbandonata dopo i bombardamenti angloamericani del 1944. Poi tocca a Fiume, alla fine della guerra. E' rimasta al di là di una linea tracciata su una carta geografica: la linea Morgan.
Il 9 giugno 1945 Tito e il generale inglese Alexander dividono questa travagliata zona di confine in due parti: la provincia di Trieste e una parte di quella goriziana chiamata zona A passano sotto il controllo angloamericano; la zona B, di fatto tutta l'Istria, passa sotto il governo jugoslavo. Sarà un accordo temporaneo. La decisione definitiva sarà presa dalle nazioni vincitrici della guerra alla conferenza di pace di Parigi del 1947: l'Istria e la Venezia Giulia fino a Gorizia vanno alla Jugoslavia. Trieste e cinque piccoli comuni, la nuova zona A, e una piccola parte dell'Istria settentrionale, la zona B, costituiranno un territorio libero sotto la sovranità internazionale. Il trattato di pace trasforma la decisione di singoli in un vero esodo di massa. Pola, Parenzo, Rovigno, Montoro, Albona e decine di piccoli centri della costa istriana vengono abbandonati.
Il 5 ottobre 1954 arriva la definizione dei confini con il memorandum di Londra che sancisce: l'Italia assume la diretta amministrazione di Trieste e della sua provincia, mentre la Jugoslavia quella della zona B. Il risultato è lo svuotamento anche dell'Istria settentrionale. Restano 5mila italiani, una minoranza etnica. Centinaia di migliaia di persone (il numero è incerto: c’è chi parla di 350mila, chi di 270mila, ndr) si trasformano in esuli. Si cerca di portare via anche ciò che non è possibile portare via con sè, anche i propri morti. Anche pezzi di terra, sassi, pietre di monumenti millenari. Perchè esodo non vuol dire solo abbandonare la propria terra, ma anche recidere le proprie origini. Scappano dal terrore, non hanno nulla, a volte non trovano in Italia grande accoglienza. La stessa politica non se ne interessa.

"La memoria stava scomparendo, ora è stata recuperata" 

Per 60 anni il silenzio della storiografia e della classe politica ha avvolto questa vicenda, questa strage. "Per colmare queste ferite - dice Raoul Pupo, professore di Storia contemporanea all'Università di Trieste - non è sufficiente il giorno del Ricordo: chi ha perso qualcuno, chi ha sofferto, non verrà mai indennizzato in modo totale. Lo stesso vale per chi che ha perso case, terre. Il giorno del Ricordo ha però un significato preciso: in primo luogo quello di reintegrare nella memoria nazionale la memoria di chi è stato colpito da quelle tragedie. In secondo luogo - continua - questa giornata consente agli italiani di riappropriarsi della conoscenza di una storia importante, non solo quella del massacro delle Foibe e dell'esodo, ma anche della storia della presenza italiana sull'adriatico orientale che è una parte importante della storia italiana. Prima del giorno del ricordo, o comunque fino agli anni '90, la memoria stava scomparendo, ora è stata recuperata, salvata".


Fonte: RaiNews



Ecco il link per la seconda parte della storia delle Foibe: 10 Febbraio, #GiornodelRicordo in memoria delle vittime delle #foibe e dell’esodo giuliano dalmata. La storia (II).

domenica 12 gennaio 2014

Un dramma dei nostri tempi. Il divorzio. "Se fossi vissuto sempre in Italia probabilmente sarei un divorzista." (Piero Ottone)

Che uno sia favorevole o meno all’istituto giuridico del divorzio, non si può non riconoscere che esso è sempre un dramma, una ferita, che non si rimargina, e che si ripercuote ogni anno, su migliaia e migliaia di figli. Il divorzio, la convivenza e le famiglie allargate rovinano la vita di molti bambini, spesso "privati dell’appoggio dei genitori, vittime del malessere e dell’abbandono", e "che si sentono orfani non perchè figli senza genitori, ma perchè figli che ne hanno troppi".


Argomento difficile da trattare soprattutto se si è critici nei quoi confronti. Ma vogliamo farlo proponendo un punto di vista laico che conferma il fatto di come si possa essere contrari al divorzio anche senza essere credenti, cattolici. Riprendiamo in mano un brano del laico Piero Ottone, direttore liberale e laico del Corriere della Sera, che nel 1964 (si discuteva allora della legalizzazione del divorzio) scriveva:

Se fossi vissuto sempre in Italia probabilmente sarei un divorzista. Ho invece trascorso una quindicina di anni in paesi nei quali vige il divorzio (sappiamo del resto che vige quasi ovunque). Sulla base di quel che ho visto e sentito, ho acquistato alcune convinzioni che cercherò di riassumere, e che sono, comunque, contrarie al divorzio…non perché contrasti con la morale cristiana, che rispetto, ma che non intendo prendere in considerazione.

 Bensì perché lo ritengo nocivo, nel complesso, alla società… Il divorzio ha il vantaggio di riparare l’errore di un matrimonio sbagliato e permette di ricominciare. D’accordo. Ma presenta anche uno svantaggio che è, a mio avviso, ancora maggiore. Esso uccide, o riduce fortemente, la volontà dei coniugi di compiere ogni possibile sforzo per salvare un matrimonio pericolante. Dobbiamo ricordare innanzitutto che ogni matrimonio, prima o dopo, corre qualche serio pericolo. Uomini e donne sono troppo diversi gli uni dagli altri per andare costantemente d’accordo…Che cosa succede in questo momento pressoché inevitabile in qualsiasi unione matrimoniale, se esiste la possibilità del divorzio? Quel che succede l’ho visto in Inghilterra, in Germania, in Scandinavia. La possibilità di uscire da una stanza in cui si sta scomodi genera un potente, quasi irresistibile desiderio di uscire, senza tentare di rendere quella stanza, quanto più possibile, comoda e abitabile. E ogni indebolimento della volontà dei coniugi è gravissimo, anzi fatale, perché, nei matrimoni davvero pericolanti, solo un grande sforzo da parte di entrambi, senza indecisioni e incertezze, può salvarli. Ne consegue che l’istituto del divorzio, anche se ha il vantaggio di sanare di tanto in tanto le situazioni insostenibili, ha il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei cittadini.

Esso fa di loro, uomini e donne, persone che fuggono davanti alle difficoltà, e non persone che le affrontano con coraggio. Il danno si ripercuote su tutta la vita sociale. L’indebolimento, inoltre, si ripete a ogni successivo matrimonio di chi si sia già divorziato. L’esperienza dei paesi col divorzio conferma quanto sa benissimo ogni studioso di psicologia. Le difficoltà del primo matrimonio risorgono quasi immutate nel secondo, perché la loro causa fondamentale non risiede nel partner, cioè nell’altro coniuge, bensì in noi stessi…Là dove vige il divorzio è più facile, come in Scandinavia, la gente passa di matrimonio in divorzio tutta la vita. Vi risparmio la descrizione delle conseguenze per i figli, perché furono descritte già migliaia di volte…Sono convinto che l’assenza di divorzio non può salvare tutti i matrimoni, ma ne salva molti che altrimenti finirebbero male. Lo Stato, per la salvezza della famiglia, che è un istituto di importanza ovvia, e per la felicità della maggioranza dei cittadini, fa quindi bene a mio avviso a non permettere il divorzio, anche se questo sacrifica l’esistenza di una minoranza verso i quali tutti sentiamo, si capisce, una profonda comprensione” (citato in "Scritti di un pro life", Fede & Cultura, www.fedecultura.com).

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