giovedì 28 giugno 2012

#Blognotes - Il lavoro è un diritto? Si, però…

forneroCertamente non siamo stati mai troppo d’accordo con le decisioni e le affermazioni della ministra con le lacrime in tasca. Però stavolta non mi sento nemmeno di darle del tutto torto. Qual è l’affermazione incriminata? Questa: “il lavoro non è un diritto, va conquistato”. Ora è chiaro che l’accesso al lavoro debba essere garantito (come infatti è in Italia) dallo stato, ma siamo sicuri che lo stato stesso debba assumersi anche l’obbligo di assolvere a questo diritto del cittadino? E non sia piuttosto in obbligo innanzitutto di garantire a tutti l’accesso all’istruzione e quindi alla possibilità di entrare nel mondo del lavoro, ma sia poi dovere del cittadino trovare tale posto? E’ appunto in questo senso che ritengo condivisibile l’affermazione della Fornero. Perciò se io cittadino ho in mano gli strumenti e le opportunità (garantitemi dallo stato e qui potremmo aggiungere il problema del valore dato al merito, ma è un altro discorso), per trovare un lavoro consono alle mie capacità ed aspirazioni, dipenderà solo da me e dalla mia intraprendenza il trovare (o perché no creare) o meno tale posto di lavoro. Restare fermi ed affermare che il lavoro è un diritto e lo stato deve darmelo perché sta scritto sulla costituzione oltre che scorretto da qualsiasi punto di vista (se aspetto e basta o se non sfrutto le opportunità, peggio per me, lo stato non c’entra) è anche uno dei motivi per cui zone intere del nostro Paese sono e resteranno sempre indietro rispetto ad altre zone più intraprendenti. Sembrano sottigliezze, ma così non è. Alla prossima.

sabato 9 giugno 2012

L´islam bifronte di Tariq Ramadan. La famiglia, i maestri, l´ideologia del più popolare intellettuale musulmano d´Europa.

L´islam bifronte di Tariq Ramadan. L´occidente terra di conquista, 
La famiglia, i maestri, l´ideologia del più popolare intellettuale musulmano d´Europa. Una sfida per i cristiani. Il teologo Olivier Clément svela il pericolo
di Sandro Magister      

C´è un intellettuale musulmano che nell´Europa francofona è ormai una star. Attrae le folle dei giovani immigrati e parla loro con fervore carismatico. Incanta la sinistra no global e i lettori di "Le Monde Diplomatique". Cita con pari maestria il Corano e Nietzsche, Heidegger e i detti del Profeta. Piace a padre Michel Lelong, primo islamologo della Chiesa di Francia. Vende migliaia di cassette con le sue prediche. Il suo nome è Tariq Ramadan.
Ramadan vive a Ginevra, dove è nato 42 anni fa.  Ha studiato da imam al Cairo e, tornato in Svizzera, ha conseguito una laurea in letteratura francese e due dottorati, in islamologia e sul pensiero filosofico di Friedrich Nietzsche. Insegna alle università di Ginevra e Friburgo e per anni ha condotto suoi allievi in paesi del Terzo Mondo a fare pratica sul campo e a incontrare i teologi cattolici della liberazione e il Dalai Lama. Poi dal 1993 s´è dedicato con crescente intensità alla predicazione in Svizzera, Francia e Belgio con frequenti puntate negli Stati Uniti. È autore di una quindicina di libri: quello intitolato "Essere musulmano europeo", del 1999, è stato tradotto in 14 lingue. È ascoltato come esperto al parlamento europeo. È sposato, ha quattro figli. Negli ultimi mesi è stato accusato di antisemitismo. S´è scontrato duramente con intellettuali ebrei del peso di Bernard-Henri Levy, André Glucksmann e Bernard Kouchner. "Le Monde" e altri giornali importanti hanno pubblicato su di lui inchieste critiche. Ma per Ramadan tutto questo è la prova della giustezza delle sue posizioni e dell´innata ostilità dell´occidente all´islam.
Il fenomeno Tariq Ramadan non nasce nel vuoto. Il suo nonno materno, egiziano, è Hassan AlBanna, fondatore nel 1929 dei Fratelli Musulmani, la più importante corrente islamista del Novecento. Suo padre, esule a Ginevra, ne é stato uno dei più attivi prosecutori. E suo fratello Hani - col quale Tariq nega d´avere legami - dirige, sempre a Ginevra, un Centro islamico che è stata accusato di contatti con la rete terrorista di Al-Qaeda. Ma più che queste ascendenze famigliari, contano  le prossimità ideologiche. Tariq Ramadan - agendo nel cuore stesso dell´occidente - intreccia l´islam politico con le critiche radicali della razionalità occidentale fatte da Nietzsche, da Heidegger, da Cioran, da Guénon, e poi dalle correnti neomarxiste e no global. Prima di lui altri intellettuali musulmani del Novecento hanno fatto lo stesso percorso, spesso studiando in università europee.  Uno di questi è l´indiano Muhammad Iqbal, un altro l´iraniano Ahmad Fardid. Un discepolo importante di quest´ultimo, Djalal Al-e Ahmad, pubblicò nel 1962 a Teheran un saggio che anche nel titolo della successiva traduzione francese, "L´occidentalite", indicava proprio nell´occidente la malattia capitale dell´islam, sullo sfondo di una visione apocalittica e nichilista che già allora sembrava far presagire come sbocco l´iperterrorismo universalista di un Osama Bin Laden.
Ma un percorso ancor più simile a quello di Tariq Ramadan è di un altro egiziano, Hassan Hanafi. Anche lui frequenta i Fratelli Musulmani, anche lui studia i filosofi europei, anche lui viaggia tra il Cairo e Parigi, dove si ferma dieci anni alla Sorbona, anche lui visita e indaga gli Stati Uniti. Da preside della facoltà di filosofia dell´università del Cairo si scontra con gli ulema di Al-Azhar, che non ne condividono il radicalismo.  E per Hanafi il nemico assoluto dell´islam è l´occidente. Ora dominato, come nei primi sette secoli dopo Maometto, quelli del primato musulmano nel mondo, ora dominante, come nei sette secoli successivi. Ma il XXI secolo è per lui quello della svolta, è l´inizio di un terzo settennato nel quale le parti di nuovo si invertiranno: "L´occidente inizierà la sua nuova decadenza e il mondo arabomusulmano la sua rinascita". Anche per Tariq Ramadan l´occidente è al tramonto. E nel vuoto spirituale lasciato da ebraismo e cristianesimo l´islam può entrare e vincere,  non più subendo la modernità ma islamizzandola. Ramadan piace al pubblico occidentale perché la sua visione accoglie elementi di democrazia, di cittadinanza paritaria, di libera espressione. Egli polemizza sia con i musulmani secolarizzati sia con quelli che si separano in comunità chiuse. Annuncia la nascita di un islam pienamente europeo. E si avventura in questa lunga traversata armato della dottrina della taqiyya, ossia dell´arte della dissimulazione, tipica della pratica islamica in terra nemica.

In Italia, l´analisi più acuta di questa anima antioccidentale del pensiero musulmano è nel libro "L´islam globale" di Khaled Fouad Allam, algerino, professore di islamologia alle università di Trieste e di Urbino.
In campo cristiano, una voce critica che si è levata contro Tariq Ramadan è quella di Olivier Clément, teologo e intellettuale di fede ortodossa, che vive a Parigi. Quello che segue è parte di un articolo che Clément ha pubblicato sul numero di dicembre 2003 di "Vita e Pensiero", la rivista dell´Università Cattolica di Milano:

Attenti all´islam modello Ramadan 
di Olivier Clément

La questione delle liceali velate in Francia e la polemica del crocifisso in un'aula scolastica italiana sono, malgrado le apparenze, strettamente collegate e pongono il problema del comportamento dei musulmani in questi due paesi. [...] Occorre sottolineare subito che i due casi, il francese e l´italiano, sono provocazioni lanciate da intellettuali o pseudo-intellettuali convertitisi di recente all'islam. [...] Sono dunque delle eccezioni, ma provocate appositamente e senza dubbio rivelatrici. In Francia, le due sorelle rifiutate dal loro liceo non solo a causa del velo ma più in generale per lo stile dei loro vestiti e per il loro comportamento sono figlie di un avvocato agnostico di origine ebraica, di nome Lévy. È stato lui ad incoraggiarle, per dimostrare l'intolleranza della nostra società. In Italia, il padre dei due bambini che si è dichiarato scandalizzato dal crocifisso appeso sui muri della loro scuola si chiama Adel Smith  e si è convertito all'islam nel 1982. [...] Mi sembra che queste provocazioni isolate siano chiare testimonianze di un nuovo corso all'interno delle motivazioni ideologiche delle comunità musulmane. Certo, sono sempre esistite e resistono tuttora, in Francia, correnti fondamentaliste di odio e rifiuto totale della cultura occidentale. Ma queste istanze d'altri tempi non sono mai state capaci di annientare e nemmeno di utilizzare le strutture giuridiche e mentali della nostra società. La nuova ideologia è ora ben definita. Il suo portavoce, perlomeno in Francia e in tutta l'Europa occidentale, si chiama Tariq Ramadan. Ramadan non si nasconde né tesse complotti. Pur affermando la sua fede musulmana, si presenta come un grande intellettuale occidentale. Giovane, bello, parla con maestria e chiarezza la lingua dell'intellighenzia dell'Europa occidentale, è docente di filosofia, di letteratura francese e d´islamologia presso l´università di Ginevra. Allo stesso tempo impegnato in contesti associativi musulmani, come quello dei "Giovani musulmani di Francia", si è assicurato un ruolo di esperto nell´ambito delle commissioni che ruotano attorno al parlamento europeo. La sua presenza mediatica non cessa di crescere. È autore di una quindicina di opere tra cui "Les musulmans dans la laïcité", "Aux sources du renouveau musulman", "Les musulmans d´occident et l´avenir de l´islam". È regolarmente invitato a partecipare a trasmissioni televisive o radiofoniche. Fa circolare tra i giovani musulmani brevi testi redatti in francese o in arabo. Propone un islam "riformista" e "totalizzante". Il suo scopo sembra essere quello di far emergere un corpo di valori a  partire dalla sorgente islamica, un corpus dalla vocazione universale  che prenderà il posto dei valori della civiltà occidentale. Ciò che conta per lui è arrivare ad affermare l'identità musulmana e a presentarla come la fonte della vera universalità.
Partendo dalla constatazione che il fulcro dei movimenti storici è costituito ai giorni nostri dall'insieme Europa-America del Nord, con i paesi musulmani relegati alla periferia, Ramadan nota come oggi però siano numerosi i musulmani, soprattutto gli intellettuali, che sono entrati a far parte di questo centro. Li invita dunque a rimodellarlo e, a poco a poco, a islamizzarlo: "Il riferimento all'ebraismo e al cristianesimo si sta diluendo, se non sta addirittura del tutto scomparendo" ("Les musulmans d´occident e l´avenir de l´islam", Actes Sud-Sinbad, 2003). "Solo l'islam può compiere la sintesi tra cristianesimo e umanesimo, e colmare il vuoto spirituale che colpirà l'occidente" ("Islam, le face à face des civilisations", Tawhid, 2001).
Ancora: "Il Corano conferma, completa e rettifica i messaggi che l´hanno preceduto" ("Les messages musulmans d´occident"). Alcune personalità cristiane la cui opera benefica non può essere misconosciuta - Madre Teresa, suor Emanuelle, l'Abbé Pierre, dom Helder Camara - sono eccezioni che mostrano solamente che tutti gli uomini perbene sono implicitamente musulmani, poiché il vero umanesimo ha fondamento nella rivelazione coranica. Così,  sia direttamente sia attraverso la mediazione di questo umanesimo, la  "Città musulmana" potrà instaurarsi sulla terra. "Oggi i musulmani che vivono in occidente devono unirsi alla rivolta degli ´altromondisti´ dal momento in cui, per l´islam, il sistema capitalista neoliberale è un universo di guerra [...]. La rivelazione coranica è esplicita: chi si occupa di speculazione o cura gli interessi finanziari entra in
guerra contro il trascendente" ("Pouvoirs", 2003, n. 164).
Tariq Ramadan poi insiste - giustamente - sulla ricchezza intellettuale forse troppo a lungo ignorata dei grandi pensatori musulmani come Al-Kindi, Al-Farabi, Avicenna, Averroè, ma si dimentica di situarli in rapporto al pensiero greco, ebraico  e cristiano, e ce li presenta  come la vera origine dell´umanesimo.
Jacques Jomier ha riassunto in modo efficace lo scopo che anima Tariq Ramadan: "Il suo problema non è modernizzare l'islam, ma islamizzare la modernità" ("Esprit et Vie", 17 febbraio 2000). Non ci si deve dimenticare che Ramadan è nipote di Hassan Al-Banna, il fondatore in Egitto del movimento islamista dei Fratelli Musulmani, un uomo che egli considera un eminente rappresentante dell´islam "riformista", capace di suscitare all´interno della modernità una cultura alternativa endogena" ("Peut-on vivre avec l´islam?", Favre, 1990). A suo avviso occorre evitare ogni forma di contrasto: intorno al 1995 Ramadan esaltava l'esperienza del Sudan di Hassan Al-Turabi. Oggi non è più così, (ma suo fratello Hani, che finanzia la casa editrice Tawhid, non ha queste riserve, che riguardano in particolare i processi e le sentenze contro le donne adultere in Nigeria). Tariq Ramadan preferisce appellarsi alla libertà di coscienza guidata dal giudizio che dona la rivelazione coranica. "Alcuni studiosi musulmani, con argomentazioni prese dal Corano e dalla Sunna, hanno proibito la musica e perfino il disegno e la fotografia (e dunque la televisione e il cinema). È un´opinione tra le tante, e come tale deve essere rispettata [...]. Ma altri, tra cui noi, dovrebbero determinare un approccio selettivo in questo campo, così come in altri" ("Les musulmans d´occident e l´avenir de l´islam"). Lo  stesso si può dire riguardo alla questione del velo: bisogna lasciare alla donna la libera scelta, ma mostrandole il vero significato di essa.

Che fare di fronte a questa nuova situazione? [...] In Francia, dove la comunità musulmana è molto numerosa e dove le polemiche imperversano a destra come a sinistra, il parlamento è vicino a votare una legge che impedirà l'affissione di segni religiosi nelle aule scolastiche. Questa prospettiva inquieta i cattolici, secondo i quali una legge di questo tipo apparirebbe ai musulmani come una forma di stigmatizzazione e rifiuto da parte della comunità nazionale. [...] Ma pare che gli islamici più intelligenti stiano segretamente aspettando proprio una legge che favorisca questa esclusione, che sarebbe la prova palese dell'innata islamofobia della società francese. [...] Il pensiero di Tariq Ramadan regala alle provocazioni attuali una portata inattesa.  Da parte nostra, siamo chiamati a un cristianesimo più profondo e più lucido, capace al tempo stesso di accogliere e di illuminare ogni cosa.

lunedì 4 giugno 2012

Le menzogne alla base della gogna fiscale, in un articolo di Franco Bechis


Sulla gogna fiscale Passera fa il furbetto 
di FRANCO BECHIS 

Che gli imprenditori guadagnino meno dei lavoratori dipendenti (...) è semplicemente una sciocchezza assoluta uscita irresponsabilmente dal seno del ministero dell`Economia, come ha spiegato ieri Libero. Che però quella sciocchezza se la sia bevuta come acqua di fonte il superministro dello Sviluppo economico, dei Trasporti, delle Comunicazioni e delle deleghe a vanvera, Corrado Passera, è grave. Questo significa che i tecnici hanno ormai imparato il peggiore vizio della politica:
parlare di tutto senza essere informati di nulla. Sembrerebbe che un Passera - che pure deve avere studiato e alle spalle ha un curriculum invidiabile - abbia preso già il passo di uno Scilipoti. Anzi, peggio perché ormai Scilipoti ha imparato a tacere quando non sa perfino davanti all`assalto settimanale delle Iene. Invece di dire che non ne sapeva nulla, e quindi non era in grado di commentare i dati, ieri Passera si è lasciato andare a commenti roboanti su questi imprenditori figli di buona donna che in Italia dichiarano meno dei lavoratori dipendenti:
«Serve una sanzione sociale», ha detto, «non può essere considerata furbizia non pagare le tasse.
Non può essere considerato accettabile che chi ha uno stile di vita di buon livello non abbia poi una sua quota di partecipazione agli oneri pubblici». Prese a sé, erano banalità che possono uscire dalla bocca di qualsiasi cittadino comune. Chi mai si metterebbe a dire l`opposto, tessendo le lo di di quell`evasore tanto perbene della porta accanto? Ma dette a commento di una statistica piena di balle come quella editata dal dipartimento politiche fiscali del ministero dell`Economia, le paro le di Passera sono due volte gravi.
Una per l`ignoranza della realtà, la seconda perché evidentemente il governo pensa che sia meglio dare fuoco preventivamente agli imprenditori, così non si appiccano da sé la benzina gettando in cattiva luce le istituzioni. Voglia- mo la sanzione sociale dicendo che gli imprenditori sono tutti ladri e approfittatori? È un incitamento alla rivolta sociale, a farsi giustizia da sé, una classe contro l`altra? È un`ottima idea per lo sviluppo, la crescita e naturalmente la creazione di nuovi posti di lavo ro:
fatto fuori un imprenditore con la "sanzione sociale", c`è sempre il suo posto da prendere.
Forse prima di strologare su questi temi, gli esponenti dell`esecutivo farebbero bene a farsi un beli` esame di coscienza: è sicuramente vero che gli imprenditori oggi sono più poveri di prima un po` come tutti gli italiani.
Lo sono anche perché il governo di Mario Monti li ha riempiti di tasse e rincari di tariffe. Ieri in un sussulto di sincerità lo stesso premier ha definito "rozzi" i provvedimenti fiscali e tariffari contenuti nel suo decreto legge salva-Italia.
L`ammissione è arrivata dopo l`ennesima picconata alle sue politiche degli ex amici Francesco Giavazzi e Alberto Alesina sul Corriere della Sera, ma è certamente apprezzabile. Certo, resta un po` di amaro in bocca a pensare che per provvedimenti rozzi bastavano e avanzavano un Hulk o un Terminator, e non era il caso di scomodare l`autorità massima della Bocconi o il capo di una delle più grandi banche italiane.
Grazie a quel lavoro "rozzo", come spiegato ieri dalla Cgia di Mestre, nel 2011 ben 11.615 imprese sono fallite con i loro imprenditori, che hanno perso il lavoro come i loro 50 mila dipendenti.
E` il record di questi anni.
Attilio Befera, il direttore della Agenzia delle Entrate, che quelle norme da Terminator deve applicare e ha pure cercato di ammorbidire negli ultimi tempi, avendo una conoscenza profonda della macchina del fisco, non avrebbe mai diffuso statistiche strampalate come quelle che il ministero dell`Economia ha regalato alla folla eccitata venerdì. Il suo compito è recuperare evasione fiscale, per questo sa bene che sarebbe stupido inseguirla dove non c`è.
Lui non può dirlo, ma se lo conosco bene quella stupidaggine sugli imprenditori tutti evasori che guadagnano meno dei loro dipendenti, deve averlo fatto imbufalire.
Per lavarsi la coscienza il ministero dell`Economia ha allegato ai suoi fantasiosi comunicati stampa anche delle note metodologiche che naturalmente nessuno è andato a leggersi. Perché così avrebbe scoperto che la definizione di "imprenditori" è assai larga. Riguarda tutte le persone fisiche che hanno avuto reddito prevalente da reddito di impresa, sia in contabilità ordinaria che in contabilità semplificata. Per impresa si intende un mondo vastis simo che va dall`imprenditore come ce lo immaginiamo noi che percepisce utili già tassati in origine e quindi o non riportati o riportati solo al 49,72% nella dichiarazione dei redditi. Ma ci sono anche esercizi commerciali a conduzione familiare, come il verduriere o il pizzicagnolo che imputano il reddito di impresa parte al marito, parte alla moglie e magari parte a qualcuno dei figli che aiuta in negozio. Si tratta di due, tre o quattro imprenditori nella stessa mini-impresa e si capisce che il reddito di ognuno non è stratosferico. Ci sono anche le partite Iva e le imprese individuali che magari aprono e chiudono dopo pochi mesi: anche in quel caso il reddito dichiarato su base annuale è assai modesto, perché magari riguardava un mese o due soli. Ci sono perfino quei lavoratori dipendenti costretti a prendere la partita Iva per lavorare magari come operai nel cantiere temporaneo: e certo che i loro redditi sono bassi! Ed è sicuro che nel concetto generale di imprenditore loro fatichino ad entrare:
però sono centinaia di migliaia, e hanno un loro peso che nulla ha a che vedere con l`evasione.

Da Libero di domenica 1 aprile 2012

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